Racconti a 33 giri
Cerimonia di premiazione – 30 ottobre 2022
Categoria CLASSICA
1° classificato
La soglia – di Flavio Moro
Il vecchio Tommaso non voleva un funerale di prima, e nemmeno di terza, non gli interessavano la carrozza napoleonica con i cavalli bardati e il cocchiere in livrea, anche perché, da morto, non avrebbe di certo saputo di non essere vivo. Al vecchio Tommaso sarebbe bastato un funerale di carità, quello con un solo prete, il carro preso a prestito dall’Anselmo il mugnaio e il suo mulo che, per un paio di chilometri, anziché sacchi da macina avrebbe trainato il peso della salma chiusa in quattro assi di larice. La cassa da morto l’aveva già, sotto al letto, e la misura era giusta perché ci si era disteso un paio di volte per controllare. Aveva cominciato proprio da quella, a preparare il suo funerale, subito dopo che il dottore, con la faccia lunga come una lapide, gli aveva detto chiaro e tondo che gli restavano da vivere ben poche settimane, forse addirittura un paio. Avvisi i suoi figli, gli aveva raccomandato, e poi… beh, si affidi al buon Dio. Ma quali figli, s’era detto il vecchio Tommaso, non li vedo da un lustro e non hanno mai dato risposta neppure alle mie lettere… Viveva da solo in una stanza umida, all’ultimo piano di un antico palazzo, la misera pensione non bastava mai, una vita grama, e così, quando la malinconia gli serrava il petto, di sera andava alla finestra e provava a disfarsi dei brutti pensieri girando lo sguardo sopra i tetti bagnati, cercando la luna nella selva disordinata dei comignoli abbrunati. I soldi per pagare la cerimonia del funerale li aveva già preparati, disposti in bella vista sul ripiano della credenza, non che venisse pagata dal comune e poi si avesse a dire che il vecchio Tommaso aveva avuto bisogno della carità persino da morto. Per racimolare il denaro, aveva venduto il suo orologio d’argento, un cipollotto che gli aveva riempito per anni il taschino del panciotto. Era un’eredità del padre che, a sua volta, l’aveva ereditato dal nonno il quale, a sua volta, l’aveva ricevuto in pagamento da un impiegato del ministero… insomma era un magnifico orologio svizzero costruito a mano. Quando era uscito dal negozio del rigattiere, aveva toccato il taschino vuoto e floscio, e gli era parso di essersi disfatto di una costola. Va bene così, si era detto il vecchio Tommaso per fugare il rimpianto di quel ticchettio che teneva compagnia anche di notte, tanto adesso avrebbe segnato un tempo inutile.
Trascorse tre settimane, ormai il vecchio Tommaso capiva che anche la vita lo stava per abbandonare.
Si levò a fatica dal letto, afferrò la gabbia del canarino e l’appoggiò sul davanzale della finestra. Aprì lo sportello e restò a guardare con il respiro in affanno. Il canarino si fermò sulla soglia della gabbia, poi saltò sulla mano di Tommaso. Aveva paura, non si fidava, forse il suo cuoricino batteva a mille.
Il vecchio tese il braccio oltre le imposte, il fiato corto non gli consentiva di parlare, così lo fece col pensiero: Vai, piccola creatura, va’ a cantare per qualcun altro. Un frullo d’ali, il canarino vola a posarsi sulla gronda di un tetto, guizza la piccola testa e poi svolazza nel vuoto, verso la libertà.
Chiuse la finestra e capì che la nebbia era dentro gli occhi. Anche il silenzio dei tetti appesantiva il cuore. Il vecchio Tommaso tornò a stendersi sul letto, non vedeva nulla, nella testa non risuonavano nemmeno i pensieri. Chiuse gli occhi e ascoltò il canto di cento, mille voci che acclamavano il suo nome.
Restò in attesa. Intanto quel suono gli penetrava l’anima impaurita, ancora ferma sulla soglia dell’eternità.
2° classificato
Incontro sul confine – di Sonia Doria
È appena suonata la mezzanotte quando la ragazza passa accanto alla porta a vetri e si accorge che qualcosa si muove fuori, dietro alla casetta del gatto.
All’inizio vede solo una coda folta e lunghissima, poi quando la creatura si gira e si avvicina alla ciotola la vede tutta intera, quasi potrebbe toccarla tanto è vicina al vetro.
Non aveva mai visto una volpe da così vicino. Sta mangiando il cibo avanzato nella ciotola e il gatto la fissa immobile e calmo.
A un certo punto la volpe alza gli occhi verso il gatto e i loro sguardi si incrociano, restano fissi l’uno nell’altro come se fossero stati legati insieme da un incantesimo.
Come in risposta a un segnale, il gatto fa un balzo e invade la penombra in cui si trova la volpe, la graffia, la fa arretrare nel buio e poi torna indietro nel cono di luce tra la casa e il cortile.
Passati alcuni minuti la volpe si avvicina di nuovo, ma qualcosa è cambiato.
Alla ragazza il suo sguardo sembra diverso, o forse è lei che lo vede diverso. È lo sguardo di una creatura che è impaurita ma non a tal punto da rinunciare ad avvicinarsi, perché ha fame.
E allora la ragazza decide di uscire, perché prova compassione.
Prende dalla ciotola alcuni croccantini e accucciandosi a terra per non spaventarla li getta verso la volpe che si mette a disegnare delle traiettorie circolari di avvicinamento, una specie di danza, e infine si decide ad abbassare il muso per mangiare.
Quando si gira per prendere altri bocconcini dalla ciotola, la ragazza si accorge che il gatto sta osservando la scena e nei suoi occhi legge un’ombra di disapprovazione. È come se il gatto con quello sguardo volesse dirle: non puoi farti custode di me e di lei nello stesso tempo, non puoi stare qui a metà, non sei in grado di scegliere e neanche spetta a te, devi farti da parte.
In quel momento si rende conto che la volpe è simile a lei più di quanto immaginasse. Entrambe sono uscite per un momento dal mondo a cui appartengono ma non conoscono il mondo in cui sono entrate, hanno un piede nella foresta e l’altro nella casa e non riescono a fare né un passo avanti né un passo indietro.
Il gatto, invece, ha stabilito la propria dimora dentro al cono di luce che separa lo spazio esterno dallo spazio domestico e si sposta a suo piacimento tra i due mondi. Quando ne ha bisogno ritorna nei panni dei suoi selvaggi progenitori e depone questa parte di sé quando non gli serve più, come un guerriero depone l’armatura, come un attore depone una delle sue maschere.
La ragazza allora si alza. La volpe indietreggia e si allontana nel buio. Nei giorni seguenti sul fare della notte la ragazza va ancora a guardare dalla porta a vetri per vedere se la volpe ritorna. Se torna, pensa, avrò paura per il gatto, ma se non torna mi sentirò responsabile per aver interferito e averla fatta andare via. Pensa a queste cose, ferma sulla soglia.
3° classificato
Frontaliere – di Sabrina Del Fico
Wollensietanzen era l’unica cosa che sapevo dire in tedesco quando ho iniziato la mia carriera in Svizzera come frontaliere – ma era tutto quello che mi serviva. Un passe-partout per entrare nelle grazie delle belle ragazze, un trampolino di lancio, un invito a ballare che poteva trasformarsi in qualcosa di più a saperlo usare bene.
Io con te mi sono fermato al ballo, e mi è bastato. Ti ho incontrato una sera che con i compari di lavoro andammo a bere in un locale, a spendere i primi soldi guadagnati spaccandoci la schiena nella miniera. Conoscevo la formula magica, avevo provato a recitarla già qualche volta davanti allo specchio. Wollensietanzen, ti dissi. Tu sorridesti e mi prendesti la mano.
È così che la nostra strana storia è iniziata. Ho frequentato sempre lo stesso locale, tutte le sere che passavo lontano da casa mia, per tre anni e mezzo di fila. Tutte le sere nella speranza di vederti, nella speranza che tu mi concedessi anche solo un ballo, o un sorriso. Mentre ballavamo sulle note che arrivavano ovattate dal jukebox in fondo alla sala tu mi parlavi di te, mi sussurravi all’orecchio dolci parole – ma io non capivo niente di quello che dicevi e non avevo modo di ricambiare quelle confidenze.
Con te era diverso, con te era un’altra cosa. Quando ti tenevo fra le braccia e ballavamo insieme mi scordavo di Mariella che mi aspettava dall’altra parte del confine, e dei miei bambini. Per ballare con te mi toglievo ogni volta la fede dal dito, ma tanto tu lo sapevi che ero sposato. Amavo mia moglie e la mia casa e la mia famiglia, ma quando ero con te mi rincretinivo e non ragionavo più. Forse non ti ho mai amato davvero, forse ho amato solo la tua giovinezza, il tuo sorriso fresco, il fascino frizzante della novità. Sei stata poco più di un’illusione, un raggio di sole tiepido come quelli che così raramente si vedono da queste parti.
E all’improvviso, un giorno sei uscita dalla mia vita. Semplicemente non ti ho visto più al locale dove ti avevo incontrato per la prima volta. Per qualche giorno ho atteso che ti facessi viva di nuovo, per ballare ancora con me, ma invano. Chissà che fine hai fatto – magari hai conosciuto un altro, o ti sei trasferita in un’altra città, o ti sei sposata e hai messo la testa a posto. Me lo sono chiesto ogni tanto, pensando a te e al tuo profumo.
Oggi si sposa mio figlio, il primo, con una ragazza di Locarno. Una ragazza delle tue parti. E mi sei tornata in mente tu, mia giovane illusione di tanti anni fa.
“Wollensietanzen” dico a mia nuora, che è molto graziosa e un po’ assomiglia al ricordo che ho di te.
Il suo sorriso è luminoso. “Non sapevo conoscesse anche il tedesco, Gerardo.”
“So dire solo questo” rispondo, ed è vero.
***
Segnalazioni di merito:
Diario, 11 novembre 1818 – di Antonio Blunda
Aizitsuig – di Daniela Malini
Libri viventi – di Sandra Frenguelli
Ritorno a Roccaforte – di Alessandra Ferretti
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Categoria POP
1° classificato
Matrioska – di Rosalia Siviero
– Vuoi vedere che le zie, grazie alla loro straordinaria forza di volontà, sono riuscite a raddrizzare anche i muri? – Questo è stato il mio primo pensiero quando, dopo anni, rividi la loro casa, quel pomeriggio di febbraio. Il muro che confina con la strada, nei miei ricordi era curvo, seguiva la forma della via che in quel punto svoltava bruscamente a destra, verso il centro del paese; ora invece era diritto e svoltava in un classico e scontato angolo retto di mattoni rossi. Ricordavo ovviamente male, mi confondevo con l’abitazione di qualche altro parente. Scesi dal pullman e percorsi i cinquanta metri che separavano la fermata dell’autobus dalla villetta delle zie, mi volli fermare a qualche metro dal cancello. Dal momento in cui avrei pigiato il bottone del campanello si sarebbe stabilito nella mia esistenza un prima e un dopo, un ante-zie e post-zie. Lo ribadii dentro di me con fermezza e decisione. Ero pronta. Suonai il campanello e aspettai fuori in strada, accanto alla mia valigia rossa. Quel breve suono, con mia sorpresa, diede vita ad una scenetta fuori programma: io che uscivo dal mio corpo, come da una scatola! Mi sembrò il caso di ordinare a quella nuova me stessa di rientrare subito in me, ed ella mi ubbidì senza opporre resistenza. Suonai di nuovo, con più decisione. Le zie comparvero sull’uscio di casa, emozionate e palpitanti, e mi fecero cenno di avvicinarmi. Mi accingevo a raggiungere i loro sorrisi, quando la me stessa di prima uscì di nuovo da me e mi precedette, ignorando spudoratamente i miei tentativi di fermarla. Mentre cercavo di raggiungere la ribelle, feci uno scatto in avanti, probabilmente troppo repentino: sentii che mi ero lasciata indietro qualcosa. Mi girai e vidi che era la me bambina, timida e impaurita. Dovendo urgentemente decidere a quale altra me stessa ricongiungermi, se a quella ferma al cancello o all’altra, spavalda e inedita, che sorridente si avvicinava alle zie, scelsi la seconda. Anche senza voltarmi, potevo immaginare l’espressione della me bambina, bruscamente abbandonata. Avrei voluto salutarla per bene, ma non era il momento per le gentilezze, feci appena in tempo a raggiungere la nuova me, a rinsaldarmi ad essa, che le zie mi abbracciarono sigillando il mio recente ricongiungimento; infine, la casa ci inghiottì tutte tre (o quattro), come prelibate leccornie. La mattina dopo uscii di casa per cercare la bambina, ma non c’era dove l’avevo lasciata. Forse, dopo aver vagato senza meta, sarà precipitata da un ponte, morendo definitivamente. Del resto, ormai era diventata solo un povero guscio vuoto privo di comandi. Nessuno sano d’intelletto poteva sul serio sentirne la mancanza.
2° classificato
Videorec – di Flavio Moro
Valerio spostò la tendina beige e guardò con indifferenza il solito panorama che occupava per intero la finestra del salotto al quarto piano della palazzina. Laggiù, a mezzo chilometro di distanza, la mole antica e severa del Colosseo troneggiava sopra i tetti delle abitazioni.
Che bel panorama, pensò. Questa è davvero una gran bella città.
Valerio girò lo sguardo nella stanza e lo fermò sul terzo ripiano della libreria. La fila irregolare di videocassette era lì da anni e la polvere ribadiva quanto fosse superata quella tecnologia, ormai inadeguata persino per l’arredamento. Sua moglie, Martina, sarebbe rientrata fra poco, c’era tempo per fare un breve salto nel passato. Allungò la mano e sfilò la prima cassetta, dal lato sinistro. L’etichetta sul dorso riportava una scritta a matita: Italia-Brasile-finale mondiale 1994.
Sorrise mentre riaffiorava il ricordo di quella sera lontana, il gesto goffo di un calciatore professionista, un rigore sbagliato, il pallone in tribuna e l’occasione buttata al vento per diventare campioni del mondo. Infilò la cassetta, già riavvolta per metà, nel vano del vecchio videoregistratore e pigiò i tasti. Nelle immagini, il giocatore sistema la palla sul dischetto del rigore, indietreggia e si lancia in avanti per colpirla. Un gesto goffo, il pallone schizza in alto verso le tribune poi, all’improvviso, muta la traiettoria, batte sotto la traversa e si insacca. Valerio rimase allibito. Ma come! Che sia il video di un’altra partita? Oppure l’etichetta è sbagliata… Riavvolse il nastro e rivide l’episodio. La partita è quella, ed è goal!
A voce alta lo confermò a sé stesso. Lo stupore sparì dal volto di Valerio è l’espressione mutò in quella di un uomo piuttosto preoccupato. Il giorno prima aveva avuto mal di testa per tutto il pomeriggio e così cominciò a immaginare la devastazione nel suo cervello. Si accorse di avere la fronte umida.
Non è possibile diventare scemi alla mia età, non ancora, perdio!
Di là, in fondo al corridoio, si aprì la porta. Finalmente la moglie era tornata, adesso le avrebbe dovuto spiegare il tremore alle mani. Martina varcò la soglia del salotto: «Eccomi tesoro. Scusa il ritardo.» Valerio avvertì un pugno allo stomaco. Balbettò: «M… Martina?»
Lei rispose: «Sì? Che c’è, amore, non stai bene?» La donna era ferma sull’uscio. Con le borse della spesa in mano, lo stava osservando dall’alto dei suoi centottanta centimetri, in perfetto equilibrio sui tacchi a spillo.
Non è lei, cristo santo!
A Valerio le gambe stavano per cedere, ansimava, il cuore batteva a mille e aveva bisogno di ossigeno. Si voltò e corse alla finestra, spalancò le imposte, aprì la bocca e gonfiò i polmoni. Si rilassò e guardò lontano, sopra i tetti delle case. Laggiù, a qualche chilometro di distanza, sul Corcovado svettava la sagoma in stile decò del Cristo Redentore. Ritrovò la serenità, le sue labbra si piegarono nel sorriso.
Che bel panorama, pensò. Questa è davvero una gran bella città.
Valerio non se n’era accorto, ma quel pensiero aveva appena attraversato la sua mente in un portoghese perfetto. Come sempre, del resto.
3° classificato
Cornamuse – di Mike Papa
«Avanti! Muovete il culo, pappemolli, volete vivere per sempre?»
Il capo McLaghan incitava i suoi uomini come se non provasse nessun timore per il nemico che si apprestavano ad affrontare. Nelle ultime file Jacob, al contrario, se la faceva dentro il gonnellino per la paura. Era troppo giovane, troppo inesperto per essere sbattuto nel bel mezzo della battaglia, avrebbe voluto essere ancora a mungere le capre come aveva fatto fino alla settimana prima.
Ma il nemico era arrivato sulle Highlands all’improvviso, subdolo, e non c’era stato tempo per prepararsi alla guerra, non c’era stato tempo per prepararsi a niente.
Le cornamuse, in prima fila, suonavano per incitare gli uomini, col ritmo scandito dai tamburi. Musicanti votati alla morte, sarebbero stati i primi a cadere sotto i colpi implacabili degli invasori.
Eppure suonavano.
«Sguainate!» tuonò McLaghan e tutti ubbidirono. La spada sembrava così pesante a Jacob, lui che si era sempre lamentato con suo padre dell’onere della zappa. Non avrebbe potuto farlo più, suo padre era morto nel primo attacco, insieme ad altre decine di uomini.
D’un tratto fu sulla sommità della collina e poté guardare in basso i tre dischi argentei che erano venuti giù dal cielo all’inizio del mese.
Tre dischi enormi che stazionavano nella piana, immobili, in apparenza privi di vita.
Ma il loro perimetro era segnato da corpi accatastati, smembrati, valorosi uomini che avevano caricato con coraggio gli invasori ed erano stati fulminati da lampi di luce.
Lo stesso destino che spettava a loro, ultimo baluardo di un popolo fiero.
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Segnalazioni di merito:
Il Mulino felice – di Alberto Favaro
Marcello – di Laura Carioni
Il nascondiglio – di Massimo Cesaroni
Un incubo mortale – di Lorenzo Boffi
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Categoria ROCK
1° classificato
God save the Queen (Sex Pistols version) – di Emanuela Citerio
E voi, cosa sognavate voi a diciassette anni?
Io sognavo di liberare Bobby e di sposarlo. Era il mio idolo.
Avevo attaccato al muro una foto sgranata, in bianco e nero, ritagliata da un quotidiano locale. Stava lì, proprio sopra il letto. Per vederla bene, dovevo girare il cuscino verso il fondo del materasso, allora appoggiavo i piedi sulla testiera e avevo l’impressione che i suoi occhi mi seguissero.
Guardavo i servizi in televisione. Mio padre scuoteva la testa, faceva quel verso di disapprovazione con la lingua, mia madre riuniva le mani appena sotto la gola, impressionata. Io di loro me ne fottevo proprio.
Mi piacevano i suoi capelli opachi, lunghi fino alle spalle, la dolce e feroce determinazione nel morire di fame, con le costole in rilievo e il sorriso che spaccava la bocca e alzava gli zigomi. Dicevano terrorista, criminale! eppure io lo amavo, anche quando stava avvolto come i suoi compagni, nudo e sporco, in una coperta ruvida, dentro una cella fredda ridipinta di escrementi.
Contavo il tempo del suo digiuno spuntando una casella al giorno, sul calendario di casa, ogni giorno un disegno diverso (tracciato del cuore che batte, torta di compleanno il 9 marzo, fiore che sboccia, farfalla che vola, simbolo della pace, filone di pane, mela rossa, A maiuscola all’interno di un cerchio).
Mangia mangia mangia.
Mangia, amore mio. Il primo pensiero appena sveglia.
Ma subito dopo tornavo a capirlo. Speravo resistesse.
Mio padre voleva sapere cosa fossero tutti quei segni sul calendario e io – niente, cose di scuola.
Quando sono finiti i sessantasei segni ho pianto.
Mi sono chiusa in bagno, ho girato la chiave. La lametta ha inciso un poco la carne dell’avambraccio, tre linee di sangue per fare uscire i sogni. Uno: di quando lo avrei cullato tra le braccia. Due: di quando lo avrei aiutato con un cucchiaino di yogurt. Tre: di quando avremmo fumato al buio, con le labbra bollenti screpolate e la tosse nella risata, con Lou Reed in sottofondo.
Dopo la sua evasione.
Dopo aver ucciso Her Majesty.
(A Robert Gerald Sands detto Bobby
Belfast, 9 marzo 1954 – Lisburn, 5 maggio 1981)
“È la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà. Non mi fermerò fino a quando l’Irlanda non diventerà una repubblica sovrana e indipendente. Il nostro giorno verrà”.
2° classificato
Milano, 28 ottobre 2021 – di Elena Passoni
Ciao Luca, sai che dalla mia classe alla palestra ci sono esattamente quattrocentodue passi?
Conosco a memoria le piastrelle del pavimento davanti alla Quinta E.
Ce ne sono un paio sbeccate e le fughe sono tutte sporche di verde, probabilmente un pennarello indelebile usato anni fa da qualche studente annoiato.
Ne sono certo, perché non alzo più lo sguardo quando passo da lì.
Ti lasciavo spesso dei bigliettini sul banco, prima, con la mia iniziale come firma. Alla fine della quinta ora, facevo finta di aver dimenticato qualcosa sotto il mio banco e risalivo il corridoio, controcorrente come un salmone, con la testa bassa e il cappuccio della felpa come schermo.
Mi batteva fortissimo il cuore, tutte le volte.
Quando te ne sei accorto, quando hai capito che la P in fondo al messaggio stava per Pietro, non mi hai più salutato, nemmeno quando ci ritrovavamo faccia a faccia in stazione mentre salivamo sullo stesso treno, e dal giorno dopo ho iniziato a cadere spesso dalle scale, a trovarmi di frequente con la faccia per terra o contro il muro.
Strano, in cinque anni non era mai capitato.
Mi piaceva, prima, il corridoio della palestra. Passavo davanti allo stanzino delle bidelle, Rita e Rosy facevano il caffè con la moka su un fornellino elettrico all’intervallo e me lo offrivano spesso quando mi vedevano, a volte io portavo i biscotti con le gocce di cioccolato per sdebitarmi. In fondo, dietro l’angolo, si sentiva già l’odore del linoleum e il rumore delle palle da basket mixato con il cigolio delle scarpe da ginnastica.
Prima era musica per me, adesso da quell’angolo in poi faccio fatica a gestire la nausea, non so mai cosa troverò ad aspettarmi.
Mio papà non ha mai detto niente.
Nemmeno quando gli ho chiesto i soldi per comprare il terzo zaino in un mese, fingendo che si fosse tagliato perché sul treno c’era un gancio difettoso.
Nemmeno quando gli ho chiesto in prestito una latta di solvente fingendo che fosse per un laboratorio, anche se in realtà serviva per cancellare la scritta con la vernice fucsia sul tabellone del canestro in palestra.
Nemmeno quando “mi sono” rotto il naso e gli occhiali contro il lavandino del bagno dell’aula di informatica.
Ieri sera però l’ho visto piangere a dirotto, durante il telegiornale. Nello schermo ho visto tante persone in giacca e cravatta in un’aula a semicerchio.
Loro ridevano, invece.
3° classificato
Adolf – di Franco Padovan
È una mattina fredda e umida, orfana di un sole che tarda a mostrarsi. Intravedo un prato, che la brina ha reso biancastro e la nebbia bassa e densa in parte nasconde. Io e i miei compagni siamo rinchiusi in una prigione senza cielo. Non vedere mai il cielo è una sofferenza, grande quanto la prigionia stessa. Gli uomini che ci sorvegliano si muovono in silenzio. Spesso sono nervosi: a volte gridano, si spostano e sbuffano forte, emettendo nuvole di vapore sottile.
Soffrono il freddo più di noi e ciò li innervosisce. Quando si sentono così, dentro di loro monta la rabbia. Cercano ogni pretesto per colpirci, ci percuotono senza motivo: noi tentiamo di sfuggire ai colpi, scansandoci. Quello che fa più paura è Adolf. È alto e magro, si muove a scatti, come se non controllasse bene il suo corpo. Ha un viso affilato e pallido, occhi grandi e nerissimi, lo sguardo indecifrabile. Non si capisce mai se è tranquillo o furioso e desideroso di sfogare la sua rabbia. I suoi capelli neri, lisci e lucidi, sono appiccicati alla fronte. Ha una peluria nera e ispessita sotto il naso, spesso sporca di muco. Le sue braccia sono magre ma muscolose e tutto il corpo è tonico anche se emana un odore disgustoso. Spesso parla con noi prigionieri ma, quando lo fa, arretriamo, impauriti. Il suono della sua voce è gelido, come i suoi occhi.
“Adolf, bastardo, dammi una mano qui. Lavora, invece di blaterare!”
“Eccomi! Oggi non sto bene, ho la schiena a pezzi, maledizione a questo lavoro di merda!”
Per lui, non siamo prigionieri, siamo oggetti, come il suo bastone: può farci quello che vuole, senza esitazioni o dubbi di qualsiasi tipo. Ieri l’ho visto colpire ripetutamente e con violenza la schiena di un compagno, perché non si era mosso bene, ma il suo sguardo era di totale indifferenza, quasi assente. Adolf spesso ce l’ha con me. Pur facendo tutto come gli altri, in mezzo a loro sono comunque riconoscibile. Quando si accorge di me di solito ride, parlotta con i suoi colleghi e ridono anche loro. Adolf solleva il bastone verso di me e dice una parola, un suono, nella mia direzione.
“Adolf, falli muovere, falli spostare da lì, quei bastardi, mandali indietro! Oggi andrete fuori dai coglioni, anche il tuo amichetto con l’occhio storto!”.
C’è trambusto intorno alla nostra prigione. Alcuni dei miei compagni sono costretti a salire in una prigione più piccola, ammassati a forza. Ora tocca a me e sento quel suono, ripetuto dai guardiani che ci spingono, una parola che Adolf ha già usato, altre volte, quando agitava il bastone.
“Adolf, qui c’è il tuo preferito, quello con l’occhio storto! Salutalo, oggi va al macello, il nostro vitellone idiota! Chissà se l’aria del macello lo sveglierà, il bastardo!”.
Quello è il suono: macello, macello, macello. Il suono mi spaventa e anche i miei compagni ansimano nervosi. Siamo tutti schiacciati, uno contro l’altro: ho il collo premuto contro un tubo di metallo, respiro a fatica. Non so cosa succederà, nessuno lo sa, ma siamo giovani, forti, ce la faremo, anche se abbiamo paura.
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Segnalazioni di merito:
Il libro della vita – di Flavio Moro
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Categoria JAZZ
1° classificato
Ombre perdute nella notte – di Angela Potente
La voce roca del controllore mi sveglia di soprassalto mentre urla ultima fermata. Ho dormito per quasi tutto il viaggio. Fuori è buio e non ho la minima idea di dove siamo. Scendo dall’autobus stiracchiandomi e mi guardo intorno provando un misto di paura ed eccitazione. Scorgo alla mia sinistra delle luci. Sta iniziando a piovere, impreco mentre mi incammino in direzione del bagliore di quella che sembra un’insegna. Avvicinandomi capisco che si tratta di uno di quei Diner aperti anche di notte. Entro portando dentro con me una ventata di aria gelida. Il posto sembra una riproduzione di quei vecchi locali anni ’50, ma guardando più attentamente mi rendo conto di non trovarmi in una replica ideata da un giovane architetto amante del vintage: risale tutto direttamente a quel periodo, dal bancone ai tavoli ai divanetti lisi e scoloriti fino al vecchio jukebox sistemato nel fondo e che dubito funzioni ancora. Mi sembra di aver aperto una porta sul passato.
Dal retro spunta una giovane cameriera dagli occhi stanchi e dalle mani ruvide. Mi guarda senza vedermi e senza chiedermelo prende il bricco del caffè dal ripiano e viene verso il tavolino sghembo dove nel frattempo mi sono seduto. Sorseggiando quel caffè troppo forte e troppo amaro osservo meglio gli altri presenti. C’è un uomo solo a due tavolini di distanza da me: con il capo chino su una specie di taccuino scrive freneticamente. Mi domando quale sia l’urgenza che gli muove le dita febbrili sulla carta. Dietro di lui, nelle panche sul fondo del locale, resiste abbracciata una coppietta. Probabilmente scappano anche loro da qualche vecchio fantasma come me. Alle mie spalle avverto la presenza di qualcun altro, è un vecchio, vestito in maniera molto bizzarra per la stagione fredda: indossa un logoro trench che ha visto troppe stagioni e pochi rammendi. Borbotta tra sé o forse parla con qualcuno che vede solo lui. Chissà quali segreti si staranno confidando mi chiedo. La verità è che tutti nascondiamo dei segreti. Persino a noi stessi. Torno ad annegare il mio sguardo nell’inchiostro nero del caffè pensando a come in quei pochi metri quadri siano racchiusi tanti microcosmi, isolati e totalmente impermeabili gli uni agli altri.
Dal fondo del locale improvvisamente si diffonde la voce dolce di Etta James, qualcuno deve aver messo in moto il vecchio jukebox. Sempre più perso nella giostra impazzita dei miei pensieri mi giro verso la vetrina. La pioggia è ora fine e grigia come l’asfalto su cui ricade stanca. La nebbia che sta scendendo rapida mi impedisce di vedere oltre lo spazio circonfuso dalla luce sulla porta. E un pensiero mi folgora improvviso lasciandomi impietrito: se in quel preciso istante la nebbia ci inghiottisse nessuno se ne accorgerebbe. Siamo ombre. Solo ombre in un diner proveniente dal passato e sperduto nella notte.
2° classificato
Coma profondo – di Flavio Moro
Luigi forse crede che il sogno sia la vita. Nel sogno c’è la vita che ruba tempo alla morte.
Ieri Luigi è caduto nel burrone, per un paio di secondi non ha pensato allo schianto, e così si è divertito un sacco. Volava. Lui è un ragazzo a modo, non si è buttato, lui ha paura della morte, non della vita.
Luigi è uno scrittore, sta scrivendo un romanzo lungo quanto la sua vita, non sa di quante pagine sarà, ma adesso la scrittura va a rilento. Forse l’ultima riga del libro la stenderà qualcun altro. Intanto lui ha la testa rotta e magari, insieme al cervello, escono anche le parole che avrebbe scritto, puzzano un po’ ma non ancora quanto un cadavere, per fortuna. Di sicuro Luigi ha un gran male alle ossa rotte, ma non lo sente e non ci vede, e nemmeno sa di non vederci, e comunque, mal che vada, il dolore non se lo porterà oltre la vita. L’ironia qui non c’entra, non è una burla di carnevale, qui si ride e si scherza sulla morte, sì, ma non sul morto, che poi Luigi non lo è. Se lo diventa, nemmeno se lo potrà ricordare, così come il giorno che è venuto al mondo.
Adesso il cervello di Luigi è più piccolo, ne è rimasto un pezzo in fondo al burrone, e così avrà la memoria più corta. Chissà cosa ricorderà, magari che è nato per vivere ma non come ha vissuto per dover morire. Per lui il tempo è per metà minaccia e per metà conquista, aspetta che passi ma quello passa lo stesso, così forse sogna e crede che sia la vita, insegue il bene mentre il male lo sta rincorrendo.
Luigi gioca a calcio, anche se gli manca un po’ di cervello e ha le gambe in frantumi, lui è nella squadra dei medici e degli infermieri, giocano contro una squadra di malanni e tragedie, allenata dalla morte.
Lì, in ospedale, c’è un dottore speciale, dice a tutti che Luigi non può morire, cioè che può continuare a vivere nel cuore di chi resta, ma poi non resta nessuno. C’è chi pagherebbe per essere bravo come quel dottore, mentre lui non è stupido come gli altri, gratis. Quando entra l’infermiera culona con i baffi, Luigi si spaventa, ma non lo sa, invece quando entra quella tettona, un pochino si eccita, ma anche questo non lo sa, o fa solo finta. Speriamo.
Oggi invece è entrato il cappellano, quello che gira per le benedizioni e l’estrema unzione, e si è agitato, gesticolava come per stracciarsi la veste – che non aveva, non si usa più – ed era incazzato come un becchino poiché Luigi non è ancora abbastanza moribondo. Ma pensa te! Ha fatto discorsi strani, e qualche risolino, ha detto che Dio non è Luce perché quella la spegni col dito, non è Pane perché non va nel forno, non è Grazia perché… boh, forse perché Grazia fa la mignotta. In fondo neanche il prete sa cos’è. Ma la predica Luigi non l’ha sentita, lui Dio lo può solo attendere, e anche la Grazia.
Intanto un po’ di cervello di Luigi è ancora in fondo al burrone mentre lui lo guarda dall’orlo di un altro precipizio. Forse sogna, di certo aspetta, aspetta… Prima o poi, per lui sarà troppo tardi? Oppure guarirà?
Se sì… beh, in tal caso è bene quel che finisce bene.
Ma, allora la vita?
3° classificato
Onirico mosaico – di Roberta Biscozzo
Sprofondo in un candore lattiginoso. Non riesco a muovermi, tanto è denso questo spazio. Non ne comprendo le proporzioni. Resto come impigliata, ghermita da questa oppressione gelatinosa. Mi ingabbia, mi stringe tra spire invisibili. Pare volermi trascinare giù, verso un vuoto scuro, aderendo con furia alle mie gambe nude, insinuandosi in ogni fessura del mio corpo, mozzarmi il respiro, pressando il petto quasi a volervi penetrare fino a schiacciare i polmoni.
Precipito. I battiti accelerano, ma la tensione si allenta. Atterro piano, senza collisione, senza rumore. Silenzio e tenebre. Poi il suono della risacca, il vento freddo che mi sferza le membra, scompiglia i capelli e porta con sé il profumo di ricordi obliati. Avverto la dura roccia sotto i miei piedi, mentre una luce sottile comincia a rischiarare ogni cosa. Muovo piccoli, cauti passi verso il mare che si staglia di fronte e pare invertirsi di tanto in tanto con il cielo, aggredendo e valicando la linea malferma dell’orizzonte.
Abbasso lentamente le palpebre e inspiro per assaporare quella sconosciuta sensazione inebriante che mi avviluppa e m’invade, scuotendomi dal torpore nel quale ho versato troppo a lungo.
Canti di sirene vibrano nell’aria, sempre più insistenti, sempre più sinistri. Una morsa allo stomaco e una stretta al cuore. L’incanto è svanito, ogni cosa è perduta. Il sogno si è scheggiato a poco a poco e infine si è ineluttabilmente infranto.
***
Segnalazioni di merito:
Si parte – di Luca Togni
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Criticare tutti… tranne Shakespeare
Siamo lieti di comunicare che la Commissione Giudicatrice dell’edizione 2020/2021 del Concorso per lettori “Criticare tutti…tranne Shakespeare”, dopo scrupolosa selezione, resa difficile dall’eccellente livello e dai moltissimi elaborati pervenuti, ha designato i vincitori.
PRIMO PREMIO a LUCA TOGNI con la recensione del libro Il giovane Holden
Oggi è il mio primo giorno di “cassa integrazione” in trent’anni. Non è affatto bello sapete? Stare a casa poi… e neanche essere pagato all’ottanta per cento come tutti i Cristiani, tanto per sentirsi di nuovo privilegiati… Ma non ne parlerò ai miei, che poi magari si preoccupano. Ecco, Il giovane Holden di Salinger è un libro così, che sembra non ti parli di nulla, o più precisamente di un rotolar di fatti suoi. Duecento e passa pagine per raccontare un’estromissione da scuola e del ritorno a casa, dal lento addio all’ambiente collegiale al bighellonare da “viveur” per giorni, prima del rientro al focolare, inframmezzato da incontri e situazioni anche quasi surreali. Ma alla fine delle quali Vi accorgerete, però, che il personaggio si è rivoltato per Voi come un calzino, sconfessando in diretta l’idea che Vi voleva trasmettere di essere uno che la Vita se la giostra a piacimento. Per sostenere l’apparenza ecco allora un linguaggio scapestrato e sorpreso innanzi agli accadimenti, subito smentito dal registro quasi intimistico e dalla riflessione. E in parallelo, a tracciare la stessa parabola, quel che il personaggio prefigura, e quel che poi nella realtà pone in essere. Il testo, vivificato dal narrare in prima persona, è un viaggio verso la franca conoscenza di sé, stimolato dalla forza dei riferimenti familiari, in particolare quello della sorella, che giocherà un ruolo fondamentale nel finale. L’ho letto attendendo che succedesse qualcosa di particolare, che smuovesse nel profondo la trama, mi son ritrovato alla fine con un senso piacevolmente disvelato. Il giovane Holden la definirei assolutamente una storia che narra dell’essere autentici, e, come direbbe Holden, di non contarsi balle, ‘che questo è già un mondo “schifo”. Alla fine ti ci affezioni a questo onesto povero diavolo, che un po’ ti svela una tua lotta interiore.

SECONDO PREMIO a LAURA VANOLI con la recensione del libro CATTEDRALE
“Tenevo gli occhi ancora chiusi. Ero a casa mia. Lo sapevo. Ma avevo la sensazione di non stare dentro a niente.”
In questa frase finale del racconto “Cattedrale” ritroviamo il filo conduttore della raccolta.
Dodici racconti ambientati in sale d’aspetto, vagoni di treni, salotti modesti, corsie d’ospedale, che fanno da sfondo a un mondo di solitudine e di mancanza di comunicazione tra i vari protagonisti, alle prese con problemi quotidiani, scenari di vite di persone normali, non particolarmente eroiche, né interessanti, contraddistinte da sentimenti, stranezze, pregiudizi, virtù, difetti comuni a tutti noi.
I personaggi ci vengono presentati all’improvviso: di loro non sappiamo quasi nulla, eppure abbiamo la netta sensazione di sapere tutto, perché sono simili a noi in modo inquietante.
Il lettore si trova immerso in una quotidianità fatta di piccoli dettagli, particolari apparentemente insignificanti, scene in cui raramente capita qualcosa di eclatante; piuttosto, quel qualcosa spesso è già successo o deve ancora accadere. È palese, dunque, quanto non sia la storia narrata a svolgere un ruolo importante, bensì coloro che la popolano, le dinamiche che vengono a crearsi nei loro rapporti e la profonda umanità che ne traspare.
Cattedrale è un libro che resta impresso, lasciando il lettore perplesso, sospeso, perturbato, alla continua ricerca di un senso.
Come il cieco che insegna ad un uomo “vedente” a guardare senza usare la vista (nel magistrale racconto “Cattedrale”), così Raymond Carver ci conduce attraverso le emozioni e le piccole, grandi metamorfosi dei suoi personaggi, accompagnandoci in un viaggio che è il riflesso della nostra stessa vita.

TERZO PREMIO a MARTINA ZORZIN con la recensione del libro PAULA
Lo stile e la vita di Isabel Allende traspaiono dai suoi romanzi e dai suoi personaggi, più di tutti in “Paula”, la sua autobiografia e, insieme, una dedica alla figlia Paula. Il tema della malattia è sviluppato come una sorta di viaggio, dal passato al presente e viceversa; la forza di una madre che lotta per e con la figlia, grazie al racconto della sua stessa vita e della sua parte più profonda, intima. Questo accompagnamento è un cammino che anche il lettore vive e sperimenta; tra le pagine rivivono Paula, suo marito, il dolore che ha coinvolto tutti, la compassione e la tenerezza. La vita di Isabel Allende è ricca, vissuta con fatica, passione, coraggio; la malattia della figlia si somma a tutto questo, e ne nasce un libro, che diviene percorso di distacco e di riflessione, di aiuto, di speranza che si tramuta in liberazione. L’epilogo è quasi una poesia che richiama, attorno a Paula, tutto l’amore capace di accompagnarla oltre, fino in fondo; un amore che diventa spirito, presenza costante, inesauribile. In tutto il libro, infatti, si avverte una spiritualità molto forte, un continuo dialogo con l’invisibile, con gli “antenati” (la Memè e il Tata); la realtà drammatica si carica di significati profondi, incoraggianti, ispiratori. Tutto diviene vicinanza, sostegno, passaggio a qualcosa d’altro, ad una vita diversa. Anche la malattia e la separazione trovano un senso, passano attraverso il racconto con una consapevolezza nuova. La vita di Paula viene fatta rivivere dalla vita materna, quasi in una sorta di doppia nascita, anzi: una rinascita che si perpetua grazie alla lettura della sua esperienza, da parte di altre persone (i lettori). Questo è il grande omaggio della scrittrice: una dimensione “magica” in cui può entrare chiunque, compartecipare gli eventi, entrare in sintonia. Dopo la morte, c’è nuova vita, nuova speranza, in una circolarità che abbraccia tutti i tempi: le vicende descritte, le vite stesse di Paula e di Isabel possono aiutare a rileggere anche la propria esperienza, cercando quella parte “spirituale” che spesso viene messa da parte, ma che c’è e vive, l’amore incondizionato tra questa madre e sua figlia ne è la testimonianza.

Concorso letterario
/ PAESECHENONCE / EDIT
Marco Foresti coordinatore artistico
della passata rassegna “Perle di Teatro a Palazzo Terzi“
in collaborazione con
Associazione Culturale Il Paese che non c’è
bandiscono il concorso letterario

Concorso per racconti destinati alla produzione di una pièce, una riduzione o una lettura teatrale
Scadenza: 31 dicembre 2020
Possono partecipare autori con racconti editi o inediti a tema libero, scritti in lingua italiana.
Le opere di autori stranieri dovranno essere accompagnate dalla traduzione.
L’obiettivo del progetto è la realizzazione di una nuova rassegna teatrale primaverile e/o estiva.
Dopo il successo della rassegna “Perle di Teatro a Palazzo Terzi”, programmata e realizzata nella difficile estate 2020, è nata una nuova idea. Si intende proporre al pubblico un’interazione artistica: ognuno potrà inviare un proprio scritto, un racconto anche mai pubblicato, magari nascosto da tempo in quel “cassetto dei sogni” non ancora realizzati. La direzione artistica lì prenderà in esame tutti con la dovuta attenzione e – là dove se ne ravviserà la possibilità – deciderà, di elaborare e produrre una pièce, una riduzione o una lettura teatrale.
Il teatro è vita e la vita è teatro, ognuno ne fa parte… e noi vogliamo dimostrarlo con i fatti.
La rassegna si svolgerà preferibilmente nei fine settimana.
Nell’eventualità del persistere delle norme sul distanziamento sociale, per ogni rappresentazione saranno messi a disposizione, nella location prescelta, posti a sedere limitati e solo su prenotazione obbligatoria, così come è avvenuto per i 13 spettacoli messi in scena nella rassegna 2020.
Con questi appuntamenti si intende “aprire il sipario” ad autori inediti ma anche continuare a dare spazio ad artisti e professionisti del mondo dello spettacolo e della cultura bergamaschi e non solo, rappresentanti di un settore in particolare sofferenza a causa degli effetti della pandemia.
Bando di concorso


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Art. 1 Il coordinatore artistico della passata rassegna “Perle di Teatro a Palazzo Terzi” Marco Foresti,in collaborazione con l’Associazione Culturale Il Paese che non c’è bandiscono un concorso per racconti a tema libero destinati alla produzione di una pièce, una riduzione o una lettura teatrale.
Art. 2 I partecipanti al concorso dovranno inviare un racconto, edito o inedito, a tema libero (per una lunghezza minima di 15 cartelle, massima di 30). Per cartella editoriale si intende una pagina Word di circa 1.800 battute, spazi inclusi.
Il testo dovrà pervenire via mail al seguente indirizzo:
siparioilmioracconto@gmail.com
Art. 3 Il racconto dovrà essere inviato in formato Word come allegato al messaggio e dovrà contenere il nome dell’autore, la data di nascita, l’indirizzo, il numero di telefono e un recapito mail. Inoltre, l’autore dovrà dichiarare la paternità dell’opera.
Art. 4 Le opere dovranno pervenire entro e non oltre il 31 dicembre 2020.
Art. 5 Le opere presentate non verranno restituite. Il Comitato organizzativo non è tenuto ad alcuna comunicazione sull’esito del concorso ai concorrenti non premiati o segnalati.
Art. 6 La direzione artistica prenderà in esame con la dovuta attenzione tutti i racconti pervenuti e – là dove se ne ravviserà la possibilità – deciderà di elaborare e produrre una pièce, una riduzione o una lettura teatrale.
Art. 7I testi migliori verranno sottoposti ad un adattamento per la scena che, pur con alcuni inevitabili cambiamenti, conserverà comunque lo spirito dell’opera. Gli autori accettano senza condizioni tale adattamento.
Art. 8 I concorrenti premiati e i segnalati saranno contattati dalla Segreteria del Premio.
Art. 9 È possibile partecipare con più racconti. È richiesto un contributo di € 20,00 per ogni racconto presentato da inviare al seguente IBAN IT36Y0311111107000000002962 intestato a Marco Foresti oppure con PayPal utilizzando il seguente link PayPal.Me/foresti
Art. 10 La partecipazione al concorso implica l’accettazione incondizionata di tutte le norme del presente regolamento.
Per ogni controversia è competente il Comitato Organizzatore.
Considerato il laborioso compito della giuria, si ringraziano gli autori che, avendone la possibilità, invieranno le proprie opere prontamente e non nei giorni più prossimi alla scadenza.
INFO: siparioilmioracconto@gmail.com – tel.335 207 659 tel. 377 124 6697


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Siamo lieti di comunicare che la Commissione Giudicatrice
dell’edizione 2020 del Concorso Letterario
“LETTERE IMPOSSIBILI”

dopo scrupolosa selezione, resa difficile dall’eccellente livello e dai moltissimi elaborati pervenuti, ha designato i VINCITORI.
L’anonimato dei concorrenti e della Commissione Giudicatrice ha protetto il giudizio attento e scrupoloso da eventuali emotive interferenze.
Primo classificato: Giulia Di Placido
con la lettera a Daisy Buchanan del Grande Gatsby.
Daisy Fay Buchanan,
l’ereditiera di porcellana, è così che ti chiamo. Ed è coperta di sangue che ti immagino, mentre osservi il mondo dalla tua inviolabile cristalliera. Conosco quello che hai fatto e non ti perdonerò mai per aver sacrificato lui sull’altare della tua colpa. Non ti sei degnata di partecipare nemmeno al suo funerale, ma ne ho capito il motivo, sai? Avevi paura di incrociare lo sguardo di qualcuno come me che sa di quali delitti ti sei macchiata. Delitti, sì. Perché oltre a quella donna che hai falciato senza rimorsi, ora devi fare i conti anche con la fine di Jay. Non dicevi forse di amarlo? E allora perché e come hai potuto lasciarlo solo, nudo e senza armi per difendersi?
Ma lui, in fondo, sapeva che nel buio qualcuno stava già scavando la sua fossa. La notte dopo l’incidente era così ubriaco che, senza rendersene conto, vagò sulla spiaggia ragionando ad alta voce e con le braccia tese verso quella maledetta luce verde. L’ho ascoltato per tutto il tempo: sei stata la sua ragione di vita per 5 lunghi anni, ma non sembrava più bastare nemmeno a lui. Voleva morire per te, indossare il bersaglio per raccogliere i colpi diretti a Daisy Fay Buchanan. E così è stato.
Sicuramente ti starai chiedendo come sia possibile che conosca la verità e, soprattutto, quale nome si nasconda tra le righe di questa lettera. Ebbene, non lo saprai mai. Non è per proteggere me dalla tua furia soffocata da strati di frange e chiffon, bensì per diventare il tuo tormento e condanna. Mi incontrerai senza sapere chi hai davanti, sospetterai di ogni persona che busserà alla tua porta, vivrai nel dubbio di esserti confidata con la persona sbagliata. E quando avrai finalmente abbassato la guardia, complice il tempo cullato dalla speranza dell’oblio, allora ti colpirò. Magari proprio mentre prendi il sole sdraiata in piscina, su un comodo materassino.
Secondo classificato: Clara Maffioletti
con la lettera a Clara del Valle de La casa degli spiriti.
Cara Clara,
Non sono certa che tu possa sentirmi, così ti scrivo, sicura che potrai leggermi.
Scrivo per ringraziarti. Ti vedo passeggiare nel giardino della grande casa di nonna Alba, che un tempo è stata anche casa tua. La tua presenza allegra e i tuoi vecchi diari mi stanno facendo compagnia nelle lunghe sere solitarie. Annoti ancora gli eventi nei tuoi diari? Sono sicura che ti riferirai a me come “la nipote di Alba” perché sembra che le ripetizioni di nomi in famiglia ti abbiano sempre infastidito.
Sto cercando di comprendere questa città in cui mancavo da molto tempo. Tutto mi sembra più bello e più luminoso, ma le persone sono diverse. Dopo essermi trasferita qui, la solitudine
si acquieta solo con i dolci ricordi di famiglia. Grazie ai tuoi diari, sto trovando la chiave per comprendere la storia della nostra gente. Sto imparando che i presagi sono sempre stati come
i fiori freschi in una casa in decadenza, ora ne sento il profumo e so che tutto andrà bene. Se chiudo gli occhi posso sentire le eco del tuo mondo così lontano e nei miei sogni prendono
forma sguardi che non ho ancora incrociato e terremoti dal passato. La chiaroveggenza deve essere una dote di famiglia, nonna Alba diceva che le salvò la vita nel momento più buio.
So che mi stai guidando nel tuo mondo cui le leggi della logica e della fisica non contano, dove passato e futuro sono parte dello stesso universo. Qui la materia esiste solo se esistono i sogni.
Ed è là che ti ho incontrato la prima volta che mi hai chiamato e mi hai chiesto di tornare a Santiago, nella grande casa all’angolo.
Ora sono qui e sono sola, eccetto che per la vecchia zia Ferula che mi aiuta a riordinare e pulire. Il mondo sta cambiando velocemente davanti a me e non so ancora dove andare e
perché sono tornata. Mandami un segno, fammi capire cosa sto cercando. Riempi di nuovo questa grande casa di colori, profumi, poeti, passioni, storie di donne e di uomini in un corteo
di passato e futuro. Ti ascolto.
Con affetto,
Clara
Terzo classificato ex – aequo:
Viviana Valastro
con la lettera a Anna Frank
Cara Anna,
in uno dei tuoi sfoghi di scolaretta di tredici anni scrivesti che l’isolamento ti stava cambiando .
In un tempo troppo breve, anche nella nostra vita è sopravvenuto u n grande cambiamento e la nostra libertà è stata assai ridotta.
Ora che anch’io sono in isolamento comprendo meglio le tue parole e ti scrivo , con la speranza che mi aiuti a dimenticare i guai di questi giorni e a far svanire, almeno per un po’, questa tristezza mortale .
Non poter mai andar fuori mi opprime, ma quella di ammalarmi, non è certo una prospettiva piacevole.
Fuori fa bel tempo e c’è una calma deliziosa, ma il silenzio, soprattutto di sera e, ancora più di notte, mi rende nervosa, mi fa venire in mente tante cose .
Mi addormento anch’io con la strana sensazione di voler essere diversa da quella che sono o che vorrei essere .
stando qui rinchiusa , mi sento molto abbandonata, provo un profondo senso di angoscia e smarrimento, continuo a inghiottire le mie lacrime perché non voglio che la mia amata nipote Marianna avverta la mia disperazione e la mia paura.
Lei ha dei begli occhi e quell’aria buffa di bambina in un corpo che sta cambiando e un animo strattonato tra il desiderio e la paura di diventare grande.
All’inizio si considerava in vacanza e non studiava molto poi u n giorno mi disse:
– Nonna, mi piace tanto farti le acconciature con i bigodini, fare torte e biscotti con te , ma devo anche studiare.
Pensando di deludermi, mi aveva appena reso così orgogliosa di lei!
Ecco, quando penso a Marianna sono felice.
T u scrivev i che se ti veniva da ridere mentre eri nell’alloggio ti fermavi spaventata, pensando fosse una vergogna essere così allegra. E aggiungevi che bisogna va far passare l a tristezza e rimettersi a scherzare, a godere della natura e della salute, guardare il cielo senza timore, perché , finché si ha tutto questo, si tornerà sempre a essere felici.
Con questa serenità, sperando che tutto finisca bene, aspetto , tranquillamente .
La tua amica, lungamente attesa.
Vivy
e
Emanuela Citerio
con la lettera a William Stoner.
Egregio Professor
William Stoner
Università del Missouri
Caro Professore,
e non perché ‘caro’ sia la banale formula introduttiva di una lettera, ma perché, mentre leggevo la storia della Sua vita, davvero è diventato caro al mio cuore.
Ho ammirato la Sua purezza d’animo nel voler restare fedele alle due uniche amicizie, ancor più al ricordo dell’amico morto giovane nell’assurdo conflitto mondiale.
Ho considerato la Sua coerenza nel rinunciare ad una carriera che sarebbbe stata senz’altro più luminosa ed apprezzata, come avrebbe meritato, a causa del rifiuto di promuovere uno studente non meritevole, e la dignitosa rassegnazione nel subire ripicche e prevaricazioni da parte del docente che lo raccomandava.
Ho patito con lei la condizione amara di un matrimonio che si preannunciava disastroso fin dalle prime battute, l’impedimento ad essere un padre amorevole costantemente messo in atto da una donna disturbata dai suoi stessi fantasmi.
Ho pianto la conseguente rovina di una figlia, ancora giovanissima, minata dal vizio e dal disincanto.
Tuttavia, quanto sono stata felice per Lei, professore, quando ha finalmente trovato in sé il coraggio di amare! La Sua storia con Katherine era talmente tenera e vibrante di emozioni che ero convinta potesse costituire il riscatto per le angherie domestiche e professionali che aveva subìto nella vita. E
invece no, è stato costretto a sottostare alle regole dello scandalo che avevate suscitato, a cedere,anche per difendere la donna che amava, ma io sono rimasta un po’ delusa. E pure Lei, vero? Tanto da dire, a 42 anni, «dinanzi a sé non riusciva a vedere niente da desiderare, e dietro di sé aveva ben
poco che gli importasse ricordare».
Il Suo amore accademico per la letteratura ci ha contagiati tutti.
Eravamo con Lei sul letto di morte, con le mani tese verso il Suo libro che scivola irrimediabilmente dal copriletto al pavimento, e ho capito che – alla fine – riconsiderava la Sua vita senza rimpianti e benevolmente l’abbandonava.
Ma l’abbandono di Katherine Driscoll …
Ringraziamo tutti i partecipanti !!!
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Premio letterario
Buon compleanno… Paese che non c’è!
logo by Marco Pinessi
Bando di concorso
Scadenza 30 settembre 2019
Cerimonia di premiazione domenica 13 ottobre 2019
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COMUNICAZIONE
L’Associazione Culturale Il Paese che non c’è
è lieta di comunicare che la Commissione Giudicatrice dell’edizione 2018 del
Concorso per scrittori ” C’è chi dice NO”
RISERVATO ai manoscritti rifiutati dalle case editrici
dopo scrupolosa selezione, resa difficile dall’eccellente livello e dai moltissimi elaborati pervenuti, ha designato il vincitore che riceverà la pubblicazione gratuita dell’opera presentata.
Sono state inoltre assegnate delle segnalazioni di merito agli autori i cui testi sono risultati particolarmente validi.
Ricordiamo che l’anonimato dei concorrenti e della Commissione Giudicatrice ha protetto il giudizio attento e scrupoloso da eventuali emotive interferenze.
Il vincitore sarà proclamato durante la Cerimonia di Premiazion
che si terrà a Bergamo presso la Sala Galmozzi – via T. Tasso, 4 (a pochi passi dal Teatro Donizetti)
domenica 13 ottobre 2019
A breve tutti i dettagli.
Grazie.
La Segreteria
Il Paese che non c’è
@ corsi.ilpaesechenonce@virgilio.it
Concorso per scrittori ” C’è chi dice NO”
RISERVATO ai manoscritti rifiutati dalle case editrici.
Se sei un autore e hai ricevuto un rifiuto dalla casa editrice, manda a noi il tuo lavoro.
Ce ne prenderemo cura e lo esporremo con grande piacere e il massimo rispetto.
Obbligatorio allegare la lettera di rifiuto.
Pubblicheremo gratuitamente il manoscritto che ci piacerà di più.
Scadenza 30 giugno 2018
Inviare il testo a: corsi.ilpaesechenonce@virgilio.it
con una breve presentazione dell’autore.
Bando
Possono partecipare autori con opere inedite, scritte in lingua italiana,che abbiano ricevuto il rifiuto delle case editrici.
INVIACI IL TUO LAVORO, POTREMMO DIRTI DI SÌ! INFO: 3771246697 – corsi.ilpaesechenonce@virgilio.it |
Concorso per lettori
Criticare tutti… tranne Shakespeare!
WE WANT YOU!
Il Paese che non c’è sta cercando te!
Ami leggere?
Ci sai fare con le parole?
Recensisci il tuo libro preferito in massimo venti righe.
I migliori recensori avranno l’opportunità di far parte della giuria popolare dei nostri premi letterari.
Le recensioni dovranno pervenire esclusivamente via e-mail a : corsi.ilpaesechenonce@virgilio.it
entro il 30 settembre 2019
potrai criticare tutti… tranne Shakespeare
partecipazione gratuita
in palio montagne di libri
Cerimonia di premiazione domenica 13 ottobre 2019
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Vincitori e segnalati di merito
Concorso San Valentino edizione 2017
PRIMO PREMIO
BREVE STORIA TRISTE: SAN VALENTINO
Un doveroso grazie, a chi non si scorda mai di me.
A chi mi sostiene nella continua lotta amorosa della ricerca dell’anima gemella.
A chi è al mio fianco in questo giorno temibile: San Valentino.
“Un messaggio, un messaggio! Oh cara, cosa mi stai tenendo nascosto? Chi è lo spasimante? Avanti confessa!”.
Rapidamente, nascondo il cellulare da Alice che, in un primo momento, appare stupita e quasi offesa dal mio scatto brusco.
Ma subito le nuvole scure sul suo volto sono scacciate da un gran sorriso, che ora si esibisce spavaldo sulle sue labbra.
“Ho capito, è una persona speciale. Te lo lascerò leggere in pace per ora, ma aspetto i commenti!” Squittisce lei.
La seguo con lo sguardo per un istante, mentre si allontana per raggiungere le compagne, in fondo al corridoio.
Dopo essermi assicurata che nessuno mi stia osservando, cautamente, abbasso gli occhi sul telefono e premo il tasto di accensione.
Il display si illumina mettendo a fuoco il messaggio:
“Buon San Valentino da Vodafone! Oggi ti regaliamo Internet tutto il giorno, in Italia.
Grazie a chi c’è sempre.
Marina Tiraboschi
SECONDO PREMIO
POI CRITICANO I GIOVANI…
<>, disse Daniela, posando un fiore sulla lapide.
Marco Casaluci
TERZO PREMIO
CLEA
Lei era bionda, bella, atletica, mi piaceva molto. Un giorno, all’uscita della palestra, ci
urtammo, ci scusammo l’uno l’altro, ci mettemmo a ridere. Ero rilassato, sereno, l’aikido mi
aveva liberato da ogni tensione. Non rammento chi dei due propose di “bere una cosa” e poi,
una mezz’ora dopo, di “mangiare una cosa”. “Facciamo da me, è qui vicino, cucino io” disse
Clea, decisa. Cena orientale, bicchieri di vino conclusivi, ancora confidenze e risate, complicità crescente. “Andiamo di là” propose lei sottovoce. Ci spogliammo. Sul letto, uno di fronte all’altro, in ginocchio. Ero eccitato, lei era bellissima, l’avrei fatta impazzire. La presi dolcemente per un braccio, per portarla verso di me. Clea bisbigliò piano: “mochi nikajo osae”, poi fulminea, mi afferrò il braccio, mi scaraventò sul materasso, la faccia schiacciata sulle coperte, immobilizzandomi. Neanche il tempo di sollevarmi: altre proiezioni e voli in aria, l’ultimo fuori dal letto. La guardai, incredulo. Aveva l’occhio di Jack Nicholson in Shining. Non avrei avuto una storia con lei pensai. Cambiai anche palestra.
Franco Padovan
Segnalazioni di merito
Il fiore preferito
Creativo, eclettico, geniale. Una personalità forte ed esplosiva che illumina chi gli sta intorno. Solo qualità, nessun difetto, eccetto essere narciso. Del resto è un grande artista: regala al mondo la bellezza, si può perdonargli un piccolo neo.
Stordita dalla fascinazione mi sono ritrovata in breve tempo destabilizzata, una nullità assoluta obbediente e sbiadita. Muto elemento del coro plaudente. Sostituita in breve tempo dalla nuova musa ma non messa da parte del tutto per le mie doti multifunzionali: cuoca, colf, autista e segretaria.
Mi sono rifugiata nella cura del mio fiore preferito: il narciso, come lui adattabile e autosufficiente.
Il suo nome significa torpore, stordimento, proprio quello di cui sono preda.
Il suo bulbo, somministrato in dosi minime è analgesico, ma la sua intera ingestione è letale.
Strappo i fiori, scavo nella terra e comincio a sminuzzare il bulbo con il pestello.
Miriam Donati
– Siri in love –
<<Siri… ma tu, mi ami?>> Non so perché glielo domando, forse è uno scherzo, banale curiosità, ma a volte lo faccio quando mi sento solo. Sta elaborando… – Che cos’è “amore”? – mi domanda. Che cos’è l’amore? Amore è il battito d’ali di una farfalla nello stomaco, penso, Amore è vedere il proprio figlio dire “mamma” la prima volta, Amore è il mio primo bacio, la grande svolta dell’adolescenza. Amore è il tempo dedicato alla cucina, alla musica, alla scrittura, alla distesa dei lenzuoli puliti al sole, Amore è la vita che abbiamo passato assieme, Amore è dio, tiranno dell’universo eppure l’Amore è anche l’eterno che diluisco a ogni passo. Non riesco a decidermi; la mia testa s’è fatta il palco per una commedia dell’arte. <> esalo infine. – Siri non sa se ti ama. – risponde. <> come non so perché glielo ho chiesto, e perdendomi nel nero lucido dello schermo un deja vu; so solo che glielo chiedo spesso
Francesco Giuseppe Colombo
MEGLIO I SERPENTI
Centovent’anni in due. Cinquanta lui. Settanta lei. Oggi partono per la luna di miele. Destinazione: Costa Rica. Nella valigia abiti leggeri e commenti pesanti. Quelli dei figli e dei fratelli di lei, di sua sorella e della figlia della sorella. “Criticona pure quella, la famiglia dei criticon”, canticchia lei, sistemando le ultime cose , mentre cercano di metterla in guardìa da quell’approfittatore. Le ipotesi sono tante e se le dicono tra loro, parlando ad alta voce perché lei senta. “Di sicuro lui si è fatto intestare la casa, il conto e chissà che altro. Una volta arrivati là, dirà che sono stati assaliti da una banda di delinquenti, la farà sparire ed erediterà tutto. O forse no, forse non è un assassino. Ma un impostore, truffatore, bugiardo sì. Forse non vuole ucciderla, vuole soltanto (soltanto?) farsi comprare una casa in Costa Rica, poi la metterà su un aereo e la rispedirà in Italia, mentre lui rimarrà là a godersi la vita pensando alla prossima vittima da spennare. O forse la porta così lontano nella speranza che alla sua età lei non regga al cambiamento di clima e allo stress del viaggio e schiatti in modo naturale. Oppure la farà mordere da un serpente velenoso, così sembrerà un incidente. È pieno di serpenti velenosi da quelle parti, si sa…”
“ Meglio i serpenti dei parenti”, canticchia lei sull’aereo, ripensando alle loro parole e tenendo stretta la mano di lui.
Nadia Meli
UN AMORE CHE FACEVA ACQUA.
Corso di vela . Luglio 1979: Marinella, Daniela, Corinna, Luisa e io, allieve veliste.
Lui: il capitano.
Eravamo bellissimi, abbronzatissimi e.. attrattissimi.
Mi ha promesso il Mar Mediterraneo e proposto un giorno in ogni porto. Ci chiamavano BLACK POWER.
Salpiamo da Mentone, vento, onde, nuvole, vele che spaccano, cieli commoventi, pesce abbondante, reggiseni, mutandine e calzini sul boma ad asciugare, lividi da verricelli, cerniere dei jeans arrugginite, gasse d’amante, pulizia della sentina, e su e giù con lo spinnaker da tempesta: 14 metri di barca, 21 di albero e cinque allieve FEMMINE!, fuori dal mondo e di testa. Un amore che faceva acqua. Lui, ha amato anche Daniela, Marinella, Luisa e Corinna oltre a me e il mare e così, scazzata,, una notte ho attraccato a Bastia, in seconda fila, su un due alberi della MARINA MILITARE FRANCESE e li ho piantiati tutti lì, il capitano e Marinella, Daniela, Corinna e Luisa, addormentati, e sono sbarcata passando davanti ai saluti dei marinai francesi, nasi appiccicati agli oblò appannati dai loro respiri.
Eravamo bellissimi, abbronzatissimi ma… diversissimi.
Silvana Salama.
Amore vorace
Dopo mesi di elucubrazioni e agonie presi coraggio e, durante la ricreazione, mi avvicinai a Martina. Le avrei fatto la domanda che covavo da mesi, che giravo e rigiravo nella mia testa, che provavo davanti allo specchio ogni mattina, con diverse intonazioni. Scelsi la “casuale-disinvolta -vagamente-tenera”.
<<Ciao, Martina>> dissi con decisione. <> rispose lei, guardandomi. <<Martina, non è che per caso ti vuoi fidanzare con me?>> <> disse lei, tirando un calcio ad un sassolino del selciato. Stavo ancora incamerando la risposta quando lei aggiunse <>. <<Quale?>> chiesi con apprensione. <> <<Sì! Certo! A tutto!>> Risposi accorgendomi di aver urlato con una voce stridula. <>. La osservavo, incantato. Per un po’ non riuscii a emettere alcun suono, rapito dalla sua grazia. <> disse. << S… sì, certo>> balbettai. <> <<S…ì, accetto>>. <<Bene, allora ciao>>. <<C… ciao>>. Mi avviai inebetito verso l’ingresso della scuola, contando i passi che mi separavano da lei. Poi la sua voce mi chiamò: <<Martino!>> Mi voltai. <> La estrassi dalla tasca. Tornai indietro e gliela porsi <> disse, <>.
Erica Titta
Le urla ed i festeggiamenti della mezzanotte hanno lasciato il posto alle strade deserte.
Le ruote degli ultimi ritardatari della notte calpestano i cadaveri integri delle bottiglie abbandonate, quelli sventrati del cartone dei botti e la maggior parte dei buoni propositi che già a distanza di poche ore paiono già inutili e troppo faticosi da raggiungere.
Affronto le scale con il piglio deciso delle endorfine che mi scorrono in corpo ma già al secondo piano la stanchezza inizia a farsi sentire.
Desidero solo tornare a casa e crollare addormentato; con ancora i vestiti addosso, come a voler trattenere il Suo odore e quello del 2016 ancora per un po’. E lo faccio.
Mi sdraio sul letto con le braccia e le gambe aperte. Sono una stella che vuole soltanto spegnersi.
“Mi ha trattato come un oggetto” penso, con gli occhi spalancati verso il soffitto. “Ed è stato bellissimo”.
Simone Rocchi
LA PASSIONE – Una breve storia d’amore –
Il giorno della visita al mondo dei matti incrocio una schizofrenica che crede di essere Gesù Cristo. Sta portando un calice di-vino a Pietro, o per meglio dire un calice del Suo sangue. La demente ha una croce a forma di croce appesa al collo, sul braccio destro ha un piccolo tatuaggio che rappresenta Cristo in croce, sul braccio sinistro invece ha un tatuaggio più grande che ritrae un uomo sulla croce, mentre sulla nuca ha un taglio di capelli che a occhio e croce direi che è fatto a forma di croce. Giunta al cospetto di Pietro la psicopatica gli porge il calice, lui ne beve il contenuto e grida: “Cristo ma è caldo!”. A quel punto la squilibrata si toglie i vestiti e alza gli occhi al cielo. “Quello è il mio sangue”, afferma indicando le labbra umide di Pietro, “e questo è il mio co…”, ma prima che possa terminare la parola il suo discepolo – noto maniaco sessuale affetto da personalità multipla – crocefigge Gesù Cristo all’istante, con quattro prodigiosi colpi in mezzo alle cosce, e mentre viene predica: “questo è il mio seme”. I due dementi in seguito festeggiano l’addio alla verginità, stappano una bottiglia di Vin Santo, concepiscono undici figli in un solo giorno e scrivono un libro sul loro eterno amore – alterando tuttavia fatti e contenuti – ancora oggi molto diffuso nelle chiese. Che Dio mi fulmini! Quasi dimentico di dire la cosa più importante: io mi chiamo Pietro.
Lorenzo Titta
Ho indossato il nuovo completo che mi ha regalato Fabio per il mio compleanno. Quello per le escursioni in montagna, con i pantaloni felpati e pesanti e il maglione termico adatto alle alte quote e al clima rigido. Questa è la nostra prima vera uscita. Ci siamo allenati con lunghe camminate nelle colline circostanti, spesso in compagnia di un gruppo di amici, ma in montagna soli non siamo mai andati. Fabio ha scoperto questa passione da qualche mese e vuole condividerla con me. E’ bello avere un interesse in comune, ci rende più uniti e vicini. Siamo arrivati in questo posto di prima mattina, molto presto, perché Fabio non vuole incontrare nessuno, vuole trascorrere una giornata solo con me. Abbiamo bisogno di ritrovarci dopo un periodo di liti e incomprensioni. Sento che tutta la rabbia che abbiamo accumulato in questi mesi passa man mano che saliamo lungo il sentiero che porta verso la vetta, come se la abbandonassimo ai piedi della montagna. Ci fermiamo ad osservare il panorama. E’ bellissimo. Mi abbraccia, le sue mani su di me, poi un colpo forte, poi il vuoto sotto i miei piedi, poi cado, cado giù, confusione nella mia testa e poi una risata familiare nelle orecchie, urlo…TI AMOOOOO…AMOOO….MOOOO…OOOO…OOOO…
Federica Perico
Pesche in vaso
Rose color pesca, inaspettate e familiari.
Le stesse che mio padre regalava a mia madre, ogni anniversario ed ogni festa degli innamorati.
Che profumo e che meraviglia nell’entrata di casa. Slanciate e sinuose e snob ammiccavano ad ogni ospite nel loro vaso di cristallo.
Lo stesso vaso che adesso avrei tolto dall’imballo, forzandomi ad aprire per la prima volta il cartone con gli oggetti che lei mi aveva lasciato.
Avrei dovuto defilare sul davanzale della dispensa le orchidee ed i loro monchini. Che sollievo non assistere più a quei loro penosi tentativi di rifiorire!
“L’amore non può fare mai davvero male”.
Ma il vaso che cadde sul mio piede lo fece.
Poco importava che queste rose non avessero avuto le spine; le schegge di cristallo erano sparse a terra insieme a petali stracciati e gambi spezzati.
Tra i quali era apparso un bigliettino bianco, oramai fradicio, che riportava sul retro un romantico “A Serena”. La sua ex. Presunta complice era stata la demenza senile del fioraio che aveva invertito destinatarie e relativi mazzi.
Rabbia e piede sinistro pulsavano in crescendo.
Insieme alla dignità di mia madre tradita per anni si era frantumata lì in terra la mia illusione di un amore assoluto con Luca.
All’inferno le rose color pesca ed i vasi di cristallo! Volevo di nuovo le mie orchidee. Sarebbero rifiorite, alla stagione giusta.
Daniela Farina
A tredici anni, stavo con un ragazzo che ho conosciuto grazie ad una mia ex amica. All’epoca e tuttora, essendo una ragazza innamorata dell’idea dell’amore, non mi importava del giudizio degli altri perciò io lo vedevo come un fidanzato dolce e gentile. Ad un certo punto però sembrava fosse lui ad essere soffocato dal parere degli altri e ci lasciammo. Quest’anno, andando in una discoteca vicino a casa con i miei amici, l’ho visto lì e il mio pensiero è stato:”qui si va a litigare”. E’ una cosa bruttissima vedere i tuoi ex, quando tu sei felicemente fidanzata”. Ho visto il mio amico gay ballare con lui, perciò mi sono avvicinata per parlare e, ad un certo punto, lui ha chiesto ad un suo amico:”Sai chi è lei(riferito a me): è stata la mia prima ed ultima ragazza, prima di scoprire di essere gay!
Alessia Amantini
Il Grande Amore
Riguardo a quanto sto per raccontare, molto si è detto a molto ancora si dirà.
Ormai mi sono abituata alle facce stranite, alle battute e alle critiche e so anche che nulla di tutto ciò potrà mai scalfirmi. Ormai sono come un blocco di granito: praticamente insensibile.
Ci siamo conosciuti nella cartoleria del paese, ed è stato amore a prima vista.
Lui è un ragazzo talentuoso, bello come il sole, famoso ed idolatrato, e sono io ad essermelo accaparrato per prima.
Siamo fuggiti insieme, vivendo la nostra prima fuga romantica come la più bella delle lune di miele.
Ora passiamo insieme ogni minuto libero: organizziamo pic-nic al chiaro di luna, ci fissiamo persi l’uno negli occhi dell’altra…
Sono letteralmente pazza di lui e so che, anche se non ne parla spesso (è un tipo molto timido, non è dolcissimo??!!), so che anche lui prova le stesse cose.
Lo sentiamo da sempre nel profondo del cuore che un amore come il nostro non può che trovare il suo coronamento nel più grande dei sogni: abbiamo già fissato la data, ci sposeremo a breve!
C’è solo un insignificante problema: entro domenica prossima devo trovare un giudice di pace disposto a unire civilmente una minorenne e la sagoma di cartone formato gigante di Harry Styles!
Martina CARRARA
FierceLover69: Luce dei miei occhi, sole della mia vita, tu sei importante per me quanto i bambini lo sono per i loro genitori, quanto le feci lo sono per le mosche e quanto il telefono lo è per una teenager. Tu sei la mia vita, il mio tutto, la ragione per cui esisto. Amami in questo giorno di san valentino. Per favore e grazie.
10:42
Charlotte96: Sono un uomo. Ma sono comunque interessato, facciamo sabato?
10:44
FierceLover69 ha lasciato la chat.
Roberta Marcis
Giuda si avvicina con passi trepidanti all’amore della sua vita e lo bacia con fervore. Gesù si gira.
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Detto ciò Gesù se ne va, accompagnato da alcuni soldati romani, per trascorrere una nottata in compagnia loro e delle loro fruste.
Alcuni giorni dopo Giuda viene ritrovato impiccato per il dolore.
Daniele Ghilardini
IL VERO AMORE
7 mesi. Stavo con Lorenzo da sette lunghi mesi. Era iniziato tutto nel caldo luglio del 2015 esattamente nel luogo dove non mi aspettavo di incontrare l’amore della mia vita, ovvero durante le ripetizioni di spagnolo. Alto, moro, muscoloso… il tipo perfetto! Cominciai a ringraziare dio per avermi fatta rimandare in quella stupida materia. La nostra relazione non ebbe molte difficoltà nel decollare e, per un periodo, fui quasi accecata dal mio immenso amore per lui.
14/02/16, il giorno in cui gettai la mia ingenuità in una fossa di tre metri. Avevo tante prospettive per quella giornata ma Lorenzo mi sorprese presentandosi a braccetto con un grande maschione di colore. Guardai confusa il suo abbigliamento da drag queen corredato da un trucco unto e vistoso. Non mi lasciò il tempo di parlare, mi disse soltanto che era gay e che aveva incontrato Ambrose, il ragazzo della sua vita. Inutile dire che ne uscii devastata: ero rimasta sola.
L’unica persona che mi fu accanto la conobbi nella piccola chiesa di paese, Gesù. Capii che il mio amore per lui era sconfinato e, in un impeto di cieca devozione, decisi di farmi suora. Lui non mi avrebbe mai abbandonata. Amen.
Silene Colella e Mara Salvoldi
Avevano solo parlato di scuola e libri, ma Tom lo sentiva: Cupido li aveva colpiti e il biglietto ricevuto il pomeriggio stesso non era che la prova. Alla Torre Nord alle otto. Erano solo cinque parole, ma parevano un coro angelico ed erano ormai scolpite per sempre nel cuore di Tom. Era eccitatissimo, l’appuntamento era vicino e il ragazzo rischiava di ruzzolare ad ogni scalino; la sua amata Lola, la Nata Babbana più fregna che avesse mai visto, lo stava sicuramente aspettando impaziente quanto lui. Era il loro primo San Valentino. Non mancavano che pochi minuti all’inizio della relazione che Tom aveva pianificato in ogni piccolo dettaglio, a partire dal momento in cui avrebbe sfiorato le sue dolci labbra al sapore di miele fino alla gita al melmoso Lago Nero insieme al suo serpente da passeggio… e per concludere, il grande matrimonio con luna di miele in Romania a caccia di draghi.
Che amore, che tesoro… Tom girò l’angolo… e che enorme stronza. Restò di sasso come colpito da un Pietrificus Totalus. La sua dolce Lola, la donna della sua vita, stava limonando con quel cretino di Patrick, lo spocchioso capitano dei Grifondoro. Interrompendo per un attimo il disgustoso scambio di secrezioni salivari, Lola si voltò appena verso di lui, cinguettando: “Tom, sei qui! Il libro di pozioni lascialo pure lì, grazie” prima di tornare alla sua pomiciata. Tom Riddle se ne andò senza dire una parola e in quel momento giurò che un giorno si sarebbe vendicato e che avrebbe odiato i Grifondoro e i Nati Babbani per sempre.
Giulia Morotti
CONCORSO
San Valentino 2017
riservato alle peggiori storie d’amore
Cupido,ma doveComoAnconadoppiaZZaraOtranto… miri?
Scrivi in 10 righe la peggiore storia d’amore della tua vita e invia il racconto con e-mail entro il 13 febbraio 2017 a:
corsi.ilpaesechenonce@virgilio.it
La Giuria del concorso premierà le storie
più originali, ironiche e divertenti.
In palio pacchi di libri!
PARTECIPAZIONE GRATUITA
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“Criticate tutti tranne… Shakespeare”
23 ottobre 2016
Primo Premio a Roberto Belotti per la recensione di “Alla grande” di Cristiano Cavina
Secondo Premio a Leonardo Serban per la recensione di “Novecento” di Alessandro Baricco
Terzo Premio a Miriam Donati per la recensione di “La porta” di Magda Szabò
Tutti i dettagli e le altre segnalazioni di merito su http://www.facebook.com/ilpaesechenonce.it
• Concorso letterario “Lo sai dire in 25 parole, punteggiatura compresa?”
Scadenza: 10 ottobre 2014
Scrivi in 25 parole, punteggiatura compresa, gli auguri per il nostro venticinquesimo anno di attività.
Invia una mail entro il 10 ottobre 2014
a: ilpaesechenonce@tin.it
La Giuria del concorso premierà gli auguri più originali e divertenti.
In palio pacchi di libri e corsi di scrittura on line.
PARTECIPAZIONE GRATUITA
• Concorso letterario “Scrivi una fiaba su di me”
Scadenza: 30 settembre 2014
“Campanellino, perché non riesco a volare?”
“Peter Pan, per volare hai bisogno di ritrovare i tuoi pensieri felici”.
James Barrie, Peter Pan
Bando di concorso
Art. 1 L’Associazione Culturale Internazionale “Il Paese che non c’è “bandisce un concorso per una fiaba inedita che abbia come protagonista il personaggio dell’immagine allegata al bando.
Art. 2 I partecipanti al concorso, dovranno inviare una fiaba inedita a tema libero in tre copie; la stessa non dovrà superare tre facciate in formato A4.
Art. 3 Solo una copia dovrà essere firmata e contenere il nome dell’autore, la data di nascita, l’indirizzo, il numero di telefono e un recapito mail.
Art. 4 E’ possibile partecipare al concorso con un solo elaborato.
Art. 5 Le opere dovranno pervenire (in tre copie)all’Associazione Culturale “Il Paese che non c’è”, via Sant’Alessandro, 32 – 24122 Bergamo,a mezzo posta prioritaria(no raccomandata),entro lascadenza del 30 settembre 2014.
Art. 7 Le opere presentate non verranno restituite .L’Associazione non è tenuta ad alcuna comunicazione sull’esito del concorso ai concorrenti non premiati o segnalati.
Art. 8 I nomi dei componenti la giuria saranno resi noti durante la cerimonia di premiazione che si terrà in data e luogo da destinarsi.
Art. 9 Il vincitore potrà partecipare gratuitamente a tutti i corsi di scrittura organizzati dall’associazione per l’anno 2015.
La Giuria si riserva di segnalare fiabe particolarmente meritevoli per contenuti e originalità. I primi 10 segnalati potranno partecipare gratuitamente ad un corso di scrittura a scelta nell’anno 2015.
Art. 10 I concorrenti premiati e i segnalati saranno contattati dalla Segreteria del Premio.
Art. 11 E’ gradito un libero contributo da inviare con gli elaborati.
Art. 12 La partecipazione al concorso implica l’accettazione incondizionata di tutte le norme del presente regolamento.
Per ogni controversia è competente il Comitato Organizzatore.
• Concorso letterario “Iniziativa editoriale 2015”
Concorso di poesia e narrativa con pubblicazione gratuita
Possono partecipare autori con opere a tema libero purché inedite, scritte in lingua italiana.Le opere di autori stranieri dovranno essere accompagnate dalla traduzione. |
- L’iniziativa editoriale si articola in due sezioni:
SEZIONE A: Poesia (Da 30 a 50 poesie raccolte in fascicolo)
SEZIONE B: Narrativa (romanzo, saggio o raccolta di racconti non superiore alle 50 cartelle dattiloscritte)
- Non è consentita la partecipazione ad entrambe le sezioni
- Le opere devono pervenire all’Associazione Culturale “Il Paese che non c’è” – via Sant’Alessandro, 32 – 24122 Bergamo, a mezzo posta prioritaria, entro la scadenza del 31 GENNAIO 2015
- Di ogni composizione devono essere inviate 3 (tre) copie dattiloscritte o fotocopiate purché leggibili. Solo una copia dovrà contenere nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico del concorrente.
- Saranno scartate senza che sia dovuta comunicazione al concorrente quelle opere che non risponderanno a quanto richiesto nei precedenti articoli.
- Le opere non saranno restituite. L’Associazione non è tenuta ad alcuna comunicazione sull’esito del concorso ai concorrenti non premiati o segnalati i risultati del premio saranno resi noti mediante pubblicazione sulla stampa specializzata.
- I nomi dei componenti la giuria saranno resi noti durante la cerimonia di premiazione che si terrà in data e luogo da destinarsi.
- Al vincitore verranno offerte 50 (cinquanta) copie della sua pubblicazione.
I primi dieci classificati riceveranno interessanti proposte editoriali - E’ gradito un libero contributo da inviare con gli elaborati.
- La partecipazione all’iniziativa editoriale implica l’accettazione incondizionata di tutte le norme del presente regolamento. Per ogni controversia è competente il Comitato Organizzatore.
Considerato il laborioso compito della giuria, si ringraziano gli autori che avendone la possibilità, invieranno le proprie opere prontamente e non nei giorni prossimi la scadenza.
INFO : 3771246697 – ilpaesechenonce@tin.it
• Concorso letterario “San Valentino 2015”
“Cupido, madoveComoAnconadoppiaZaraOtranto…miri?”
Scadenza: 10 Febbraio 2015
• Criticate tutti… tranne Shakespeare
WE WANT YOU!
Il Paese che non c’è sta cercando te!
Ami leggere?
Ci sai fare con le parole?
Recensisci il tuo libro preferito in massimo venti righe.
I migliori recensori avranno l’opportunità di far parte della giuria popolare dei nostri premi letterari.
Le recensioni dovranno pervenire esclusivamente via e-mail a ilpaesechenonce@tin.it entro il 31 dicembre
Potrai criticare tutti… tranne Shakespeare
In palio una montagna di libri!